venerdì 9 luglio 2010

Le mani lo sanno


Nel racconto epico e specialmente nel topos della quête, la strada giusta è sempre la più difficile, per definizione. Tanto che quando l'eroe sceglie quella più semplice verrebbe voglia di dirglielo: "Noooo, devi passare di là! Hai presente quella strada piena di pericoli, difficoltà, mostri orrendi? Ecco, il tesoro è in fondo a quella. Che fortuna eh?" Ma l'eroe non si lamenta mai, né chiede indicazioni, del resto. Ora ci sono due modi per interpretare questa non banale equazione sulla strada buona=difficile. Se si interpreta la sua bontà come conseguenza della difficoltà, se il buono deriva dal difficile, allora si afferma questa idea medioevale della ascesi attraverso la sofferenza, della mortificazione della carne. Il premio alla sofferenza, premio che arriva sempre dall'alto, per intercessione divina, a cui la mortificazione di sé non dà diritto, ma di cui è prerequisito indispensabile. Orrore e delirio. Ma potrebbe anche essere che gli scrittori medioevali avessero preso un dato empirico (ciò che ci riesce difficile è ciò che ci fa bene) e lo avessero semplicemente interpretato al contrario. Proviamo a ribaltare il concetto e vediamo che succede, se ipotizziamo invece che sia la difficoltà ad essere una conseguenza della bontà, e non il contrario. Se fosse che sia il difficile che deriva dal buono. Che cos'è facile? Facile è quello che conosciamo. Lo abbiamo già fatto, sappiamo cos'è, dove ci porta, come e cosa ci fa sentire. Non c'è ricerca, non si mette in discussione nulla. Ciò che conosciamo, ci è facile. In ogni occasione tendiamo a rispondere come abbiamo sempre risposto, e nel caso si parli di comportamenti che ci fanno male, si parla di coazione a ripetere. Per evitarla occorre riuscire a dare una risposta diversa, quindi nuova. Ma rispondere in modo nuovo ad una situazione vecchia, è difficile. Molto. Così l'altra sera mi sono trovato ad avere a che fare col vecchio. Vecchia rabbia, vecchia tendenza distruttiva, vecchia voglia di chiudere le comunicazioni e cercare il distacco, l'allontanamento. Il vaffanculo. Che a volte può essere la risposta giusta ma non sempre e non con tutti. Ecco che allora le mani, sempre. Le mani lo sanno, come fare, mica quello stupido di cervello, sempre pronto a pontificare, a disquisire, a trovare ragioni. Mettersi all'opera, invece. Suonare qualcosa, dipingere, pulire la casa, smontare un motore. Ma anche solo apparecchiare la tavola con cura e improvvisare una cena che somiglia a un'aperitivo, è qualcosa che stacca il cervello e mi appaga, mi calma. Cercare l'apertura con caparbietà, al vaffanculo sostituire un'abbraccio, e improvvisamente qualcosa accade, e la rabbia diventa felicità. Una meraviglia, riuscirci.

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