mercoledì 23 giugno 2010

Il coraggio delle iene


Io non lo volevo scrivere, un post sulla morte di Saramago. In parte perché altri lo hanno fatto, con tatto e delicatezza sicuramente superiori ai miei, in parte perché non lo conoscevo abbastanza da sentirlo un vecchio amico, un compagno di strada. Ho letto solo due suoi libri ed uno di questi, Cecità, ho impiegato molto tempo a capire di cosa parlasse. Per superare l'idea del racconto fantastico mi ci è voluta la frase felice di una persona intelligente e sensibile che ha chiesto, conoscendo la risposta, "secondo te perché non diventa cieca, la moglie del dottore?". E io, che stupidamente avevo dato per scontato l'espediente letterario, mi sono dovuto rispondere: "perché vede la realtà umana dell'altro". Anche se poi, a onor del vero, per metterla in questi termini mi son dovuto leggere qualche libro in più. Insomma, avrei taciuto, forse anche convinto che di una vita non è importante il termine ma il lascito, e questo nel caso di Saramago è vasto e universale. Poi però sono arrivate le iene. Tra tutti gli animali, la iena è forse il meno bello, sicuramente il meno nobile. Non caccia le sue prede in campo aperto e di giorno, né affronta i suoi nemici a viso scoperto. Agisce perlopiù di notte, in branco, si nutre spesso di cadaveri e, se attacca, colpisce solo animali feriti o isolati. Con l'avversario di sempre, il leone, si confronta solo se in schiacciante superiorità numerica, diversamente fugge. Non rischia, la iena. Mai. Oggi che siamo tutti orfani della sua intelligenza e del suo rigore morale, è facile attaccare Saramago, facile vestire col suo nome pensieri e pensierini più o meno disgustosi. Lo fa L'osservatore romano con un articolo squallido, che da solo spiega meglio di ogni possibile saggio la statura morale della chiesa. Lo fa tale Lidia Lombardi, i cui meriti intellettuali e letterari restano incogniti anche dopo aver letto i suoi articoli su "il Tempo", dove solitamente recensisce film, e leggendo il suo articolo non riesco a non chiedermi cosa, nel limitato perimetro della sua mente, le faccia ipotizzare di avere un qualsiasi titolo per commentare Saramago. Lo fa Maurizio Maggiani, che evidentemente ritiene indispensabile attribuire un pensiero religioso, ovviamente postumo, a chi si è sempre dichiarato ateo e, presumibilmente, gli avrebbe risposto per le rime se solo fosse stato ancora vivo e nella non ovvia condizione di conoscere Maurizio Maggiani e il suo pensiero. Lo fa Maurizio Stefanini su "L'Occidentale". Che non è un giornale e nemmeno un blog. E' un qualcosa che aspira. E dire che per aspirare, nel PDL, c'è da mettersi in fila. Lo fa, infine, Arturo Diaconale su "L'Opinione delle Libertà" con una ottusità virulenta, senza nemmeno la dignità di firmare quelle quattro righe sghembe con altro che non sia un nom de plume, concludendo il suo attacco anonimo con un odioso "uno di meno". Per il suo epitaffio, che attendiamo di leggere presto, basteranno queste tre parole.

Per questo non lo volevo scrivere, un post su Saramago: perché in certi casi serve solo silenzio.

Nessun commento:

Posta un commento

I commenti sono moderati, i commenti anonimi non vengono pubblicati.